Le origini di Sant'Eusanio Forconese
La Media Valle dell’Aterno individua un’area omogenea, dalle caratteristiche geografiche ed antropologiche coerenti, all’interno della quale il medio corso del fiume Aterno ha rappresentato nel tempo un luogo di aggregazione e comunicazione.
In epoca preromana la Valle dell’Aterno è occupata dai Vestini e in parte dai Sabini, popolazioni italiche di ceppo osco-umbro appartenenti al sottogruppo sabellico. Il confine tra i territori dei due insediamenti è individuabile a ovest del fiume Aterno tra le alture di Pianola e il monte San Franco. A loro volta i Vestini erano suddivisi dalla barriera del Gran Sasso (denominato Fiscellus Mons) in Transmontani (appartenenti alla zona che si apriva sul mare Adriatico) e Cismontani (della zona più interna). La Media Valle dell’Aterno è pertanto inquadrabile nell’area cismontana del territorio vestino; se inizialmente la popolazione non si concentrava in grossi centri ma si distribuiva nel territorio in piccoli villaggi (vici) organizzati amministrativamente in pagi (all’interno di veri Stati repubblicani dei Vestini, detti toutas), con l’inglobamento nello stato romano - avvenuto intorno al 290 a.C. - si svilupparono alcune città tra cui Furcona, Peltuinum e Aveia (l’attuale Fossa). Rispetto agli insediamenti vestini, Roma avvierà un lento processo di omologazione tale da evitarne la partecipazione alla guerra sociale del 92-90 a.C. (sostenuta al contrario da Peligni e Marsi), e nel 27 a.C. l’intera area sarà inserita nella IV Regione d’Italia. In epoca romana il centro abitato di Sant’Eusanio, di origini certamente precedenti, prese il nome di Cinque Ville dai cinque piccoli agglomerati urbani che ne componevano il territorio.
Per quanto riguarda Aveia, centro più importante della zona, l’area di ubicazione della città, insignita del titolo di civitas, è individuabile a valle dell’attuale Fossa. Divenuta dapprima praefectura, fino al III secolo, poi municipium, la decadenza di Aveia avviene attorno al IV secolo, sia per lo spostamento verso la costa degli interessi di Roma, sia per i frequenti straripamenti dell’Aterno che portavano all’impaludamento della valle. Nel VI secolo inoltre il territorio subì le invasione longobarde che causarono un progressivo spopolamento. Aveia continuerà a indicare il nome della diocesi. A questa prima denominazione succederà ben presto quella di Forcona, insediamento vicino ad Aveia (Furcona) e forse di sua pertinenza come luogo residenziale (si è ipotizzato vi fossero balnea di Aveia, a conferma della denominazione attuale di Civita di Bagno).
La storia dei secoli successivi è pertanto anche la storia della Diocesi di Forcona, città citata nel 576 da Paolo Diacono come unica città importante nel territorio vestino; il primo vescovo di cui abbiamo notizia è “Florus exigus Episcopus sancte Furconensis Ecclesiae”, presente nel 680 al Concilio Ecumenico di Costantinopoli sotto papa Agatone (solo nel 936 si avrà la citazione, nel Chronicon Farfense, del nome della cattedrale di Forcona come “episcopium Sancti Maximi”).
Nel corso del VI secolo avviene l’occupazione longobarda, con l’inglobamento di quest’area nel Ducato di Spoleto, e la creazione di sette Gastaldati tra cui quello di Forcona. La conquista della regione ad opera di Ariulfo aveva peraltro provocato la distruzione di alcune città i cui abitanti si erano trovati costretti a rifugiarsi sulle montagne circostanti. Nel 962 Ottone I di Sassonia, venuto in Italia, ottenuta da Giovanni XII la dignità imperiale, aveva aggiunto alle precedenti donazioni di Pipino e Carlo Magno i Contadi di Amitemum e Forcona tra i territori di pertinenza papale. Questa donazione sarà impugnata da Federico II di Svevia il quale, a seguito della seconda scomunica del 1239 da parte di papa Gregorio IX, tenderà all’eliminazione delle città di Amiterno e di Forcona quali simboli della sovranità papale: secondo l’ipotesi del Franchi, è questa una delle ragioni della fondazione, iniziata nel 1245, della città dell’Aquila, la quale avrebbe dovuto riunire a sé le terre e i castelli circostanti. Il cronista Buccio di Ranallo intende invece la data di fondazione dell’Aquila (1254) in concomitanza con il trasferimento della sede della diocesi di Forcona (1257), avvenuta per Bolla di Alessandro IV sotto il vescovato di Bernardo da Padula che fu l’ultimo vescovo di Forcona e il primo dell’Aquila.
L’Aquila verrà distrutta da Manfredi nel 1258 e sarà il nuovo dominatore Carlo I d’Angiò che, appena sconfitto Manfredi nella battaglia di Benevento (1266), ne favorirà la ricostruzione. È in questo contesto che il ruolo dei castelli della Valle dell’Aterno si rivela determinante nella costruzione della nuova città, poiché la sua suddivisione in “locali” prevede l’occupazione degli abitanti dei castelli a patto che questi ultimi vengano soppressi. Sarà questa la sorte di molti, ad eccezione di alcuni, come il castello di Ocre, risparmiato perché ritenuto fondamentale nella strategia difensiva.
Nel contesto storico-politico dell’incastellamento si affermano nuove signorie, come quella dei Barile, intorno al 1180: nata in seno longobardo come “cognominazione” dalla terra posseduta, controllava i territori dell’attuale comune di Villa Sant’Angelo con la frazione di Tussillo, di Casentino (attuale frazione del comune di Sant’Eusanio Forconese) e di Fontavignone (attuale frazione del comune di Rocca di Mezzo). Prove dell’esistenza del castello dei Barile sono rintracciabili nel Diploma di Carlo II d’Angiò del 1294 dove sono altresì menzionate Ocre, Fossa, Sant’Eusanio, Barile con le Ville (Bariles cum villis), Stiffe (Stiffia) e la Terra Sinitiensis che comprendeva San Demetrio, Linizzo e Prata. La famiglia dei Barile si sposterà gradualmente a Napoli e verso la fine del Quattrocento estinguerà la sua presenza in Abruzzo, mentre il castello sarà sottomesso alla giurisdizione aquilana.
In questa fase, il castello di Sant’Eusanio, grazie alla particolare ubicazione del Monte Cerro nel mezzo della valle, fungeva da valido appoggio per il castello di Ocre - principale avamposto della città dell’Aquila -, moltiplicando i collegamenti ottici con i borghi fortificati sul versante orientale della stessa valle (Petogna, Poggio Picenze, Barsciano, ecc.).
Nel quadro di un secolare rapporto conflittuale tra la città di L’Aquila e il Contado, si inseriscono inoltre alcuni provvedimenti, durante il Viceregno Spagnolo, che tesero a escludere la città dal controllo del territorio, come il provvedimento del 1529 che stabiliva l’estromissione di L’Aquila dalla riscossione delle imposte dalle varie terre, le quali sarebbero state concesse in feudo a capitani spagnoli: in particolare Sant’Eusanio Forconese andrà a Martin Montanyes insieme a Villa Sant’Angelo e Casentino, Tussillo a Rodrigo Penyalosa, Fossa e Fontavignone a Diego Perez. Ma questo controllo militare durerà poco, in quanto la Corona spagnola si trovò costretta a rivendere i feudi a beneficiari individuati tra la nobiltà aquilana e romana.
Con l’occupazione napoleonica i vari borghi, abolita la feudalità, vengono inseriti nel Circondario di San Demetrio, e col ritorno della Corona borbonica nel 1814 questa struttura amministrativa resterà e San Demetrio sarà trasformato in Comune. Con l’Unificazione italiana ogni comune avrà la sua autonomia, fatta salva la parentesi fascista in cui essi saranno riaccorpati a San Demetrio (fino al 1954) .
La storia di Sant’Eusanio, così come quella di altri paesi della Media Valle dell’Aterno, non può però esaurirsi con le vicende sociali e politiche; uno spazio di rilievo merita l’aspetto religioso che permea la vita di questi centri e lascia tracce visibili anche nell’architettura. In particolare, per quanto riguarda Sant’Eusanio, è il toponimo stesso (di evidente origine agionimica cui si aggiunse la specificazione Forconese - dal nome di Forcona - con R. D. 21.IV.1863 n. 1273) a sottolineare il marchio profondo lasciato dal Martire giunto ad evangelizzare queste terre nei primi secoli del Cristianesimo (V-VI).
Nel 1061 avrà inizio la dominazione normanna e la diocesi di Forcona terminerà di appartenere al ducato di Spoleto.
A Sant’Eusanio viene assegnata la zona circostante Piazza San Marco, dove attualmente si trova un vicolo denominato appunto “Vico Sant’Eusanio”.
Esso stabiliva di tassare non più i castelli che dipendevano dall’Aquila, ma la città, la quale si sarebbe rivalsa sui suoi feudi.
Si tratta di un “castello-recinto”, costruito nell’invaso di una dolina carsica, sulla sommità del Monte Cerro, circondato da un perimetro quadrangolare di mura che connettono quattro torri di diversa tipologia, a pianta rettangolare o quadrata. Oltre la cinta muraria sporge il volume di una piccola Chiesa dedicata alla Madonna detta appunto “del Castello” di cui si celebra la festa ogni anno nella prima domenica di agosto. All’interno si trova una cisterna, dove tuttora affiora dell’acqua potabile, il che fa pensare che il castello fosse abitabile anche per lunghi periodi. Tuttavia esso non doveva essere abitato stabilmente, almeno agli inizi del XVI secolo, ma usato solo per ragioni difensive.
Principalmente ai Colonna che possedettero tutti questi territori, per poi passarli tra Sei e Settecento ai Barberini che furono Signori di Sant’Eusanio dal 1663.
E. Santangelo, Castelli e tesori d’arte della Media Valle dell’Aterno, Pescara, Carsa Edizioni. 2002, pp.11-15, 130-137.
E. Giammarco, Grammatica delle parlate d’Abruzzo e Molise, Pescara, Istituto Artigianelli Abruzzesi. e G. Gasca Queirazza - C. Marcato - G. B. Pellegrini - G. Petrocco Sicardi - A. Rossebastiano, Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Torino, UTET, 1990.